LA CHIUSURA DEI PANIFICI “CAPPELLI”. UN ALTRO PEZZO DI STORIA CHE SE VA…

L'Eco del Monte e del Padule 30 Dicembre 2012 0
LA CHIUSURA DEI PANIFICI “CAPPELLI”. UN ALTRO PEZZO DI STORIA CHE SE VA…

Una storia d’altri tempi. Di quelle in cui lavoro fa rima con passione, e soprattutto con vita. una vita di sacrificio e di dedizione alla propria attività, senza mai adagiarsi sugli allori e sulla consapevolezza di essere “arrivati”.
Il panificio Cappelli, di Giovanna e Romano, fa il pane da circa trentacinque anni in Valdera. Ma l’età e le condizioni di salute hanno costretto i due coniugi e il figlio Luca a pensare di vendere, da gennaio, le botteghe, forse a scaglioni. Di sicuro rimarrà solo quella de Il Romito, mentre Pontedera ha già chiuso. «Non ce la facciamo più», racconta Giovanna. La troviamo al bancone del punto vendita di Pardossi che da tredici anni serve i paesani e gli automobilisti di passaggio, nel via vai del centro. Ci mettiamo a chiacchierare fra un cliente e l’altro. «Ho conosciuto mio marito Romano quando faceva già il fornaio, a sedici anni. Poi, una quarantina d’anni fa, abbiamo impiantato un forno a Pisa». Da Pisa i Cappelli hanno portato in Valdera la loro specialità: il pane salato. Non tutti sanno infatti che il pane pisano è rigorosamente così: a Firenze lo mangiano sciocco da quando Pisa, impegnata nella guerra contro la città gigliata, chiuse l’approvvigionamento del sale tramite l’Arno. «Quello è sempre stato il nostro cavallo di battaglia. Quando lo portammo a Pontedera, circa trentacinque anni fa, la gente veniva a prenderlo fin da Navacchio, Badia a Montione e Santa Maria a Monte. Alle otto c’era la fila». Entra un avventore: prende la busta col pane quotidiano, paga, esce. I clienti Giovanna li conosce ormai quasi a menadito. «Il nostro pane era anche più leggero degli altri». E poi c’era il rituale della schiacciata del venerdì pomeriggio. Quella con le cipolle, i pomodori o le patate. «Adesso il pane non è più un qualcosa di sacro, come un tempo: esistono le diete, le merendine, gli snacks».

 

 

Anche lo spirito di sacrificio nei giovani, a sentire la signora Cappelli, scarseggia sempre di più. «Abbiamo sempre fatto una vitaccia: ci siamo sempre alzati fra le tre e le quattro, periodi di riposo ce ne son sempre stati pochi». Quel “sempre” colora le altre parole, calandole in un tempo indefinito in cui vita e lavoro si mescolano fino a confondersi. «Mio marito qualche anno fa ebbe un infarto e gli prescrissero un lungo periodo di riposo. Invece, solamente quattro giorni dopo era a lavorare. Mi ricordo ancora i primi tempi, quando ci riposavamo solo un’ora per notte e dormivamo sui sacchi di farina», continua la signora Giovanna. «Se devo dare un consiglio alle nuove generazioni, direi loro di impegnarsi. Posso dire di essere arrivata nella vita, la mia professione mi ha portato tante soddisfazioni e l’amicizia di tanti clienti. In molti si sono dispiaciuti che abbiamo deciso di smettere. Ma ormai non ce la facciamo più: abbiamo una certa e età e diversi problemi di salute. Il nostro lo abbiamo fatto».

Jacopo Paganelli

Leave A Response »