MORSO DA UN DENTE DI LEONE – di Lisa Parenti

L'Eco del Monte e del Padule 15 Settembre 2014 0
MORSO DA UN DENTE DI LEONE – di Lisa Parenti

Morso da un dente di leone

di Lisa Parenti

E se le strisce pedonali, dal profondo di questa nebbia fumante, emergessero come assi di legno ? Un ponte dondolante sopra il fiume catramato della strada.

Ai margini del fiume piante curative cresciute per caso, mi piace pensarle come pietre miliari della medicina, come ciuffi di scienza che sfidano la crosta d’asfalto e si porgono all’uomo.

Scrivo i miei passi sulle righe pedonali di questa strada, nelle bande aranciate di quest’alba che si diffonde con la massa d’aria fluttuante intorno a me. Sto lentamente e letteralmente attraversandomi, e Traghetto i miei pensieri da una parte all’altra, perché non vadano perduti. Calzo il desiderio di avanzare ancora, nel torpore di capacità che scopro improvvisamente smaniose di destarsi. Sembra che le bande aranciate, messe del giorno, non decidano di consegnare il messaggio, inizio a sudare: temo che il mio giorno resti in un perenne inizio.

In un devoto silenzio, al lato del fiume un dente di leone sta per liberarsi, come la mia testa dai pensieri, andare ad insediarsi e fecondare ogni dove.

Gravito d’improvviso sotto la mia coperta a righe bianche e blu, mi struscio un poco gli occhi e li ripulisco dall’alba a bande aranciate, che sfuma nelle righe di un quaderno, che si allargano in strisce pedonali, che di nuovo collassano su sé stesse per tornare a vestire il mio letto, di bianco e di blu.

Mentre fuori il vento solleva le fronde degli alberi e ne scuote i fiori, sollevo le mie lenzuola e metto un piede giù.

Passando davanti allo specchio, distrattamente vedo un uomo di mezza età, occhiali grigi che continuano con i capelli, sguardo storto e appesantito, stanco di lottare con e contro un corpo bombardato da molecole dai superpoteri. La voce roca, si appresta a dare il buongiorno, e con l’occasione raggiungo puntuale il mio negozio.

Sono un mercante d’arte che pesca oggetti d’antiquariato nella provincia Pisana, in un paese dal nome e dalla storia altrettanto antica di nome Bientina.

 

Negli ultimi giorni ho ricevuto offerte allettanti per un pezzo in bronzo, una riproduzione fedele della mitica chimera etrusca.

Mi sto sforzando di trovare difetti nelle vantaggiose proposte e ne rimando la vendita: il suo vibrante equilibrio la trattiene qui da me.

Questa mattina osservo che sulla linea dello sguardo diretto verso la statua, si sta ponendo, atterrando sul davanzale, un seme bianco: curioso presagio annunciato questa notte in sogno, fastidioso asse semantico.

Gli Etruschi erano un popolo molto legato ai segni divini della natura, e sebbene la mia esperienza lavorativa si sia imbrattata più volte di etruscomania, non ho voglia di pensare alla storia delle origini, anzi non ho proprio voglia di pensare.

Decido di sentirmi contemporaneo e razionale, passando ad un altro incarico di lavoro. Scorrono le ore di questa giornata che, sembra continuata di eternità.

La testa di leone continua a fissarmi, ma io non ricambio lo sguardo, con tutti i problemi che ho, non ho certo voglia di mettermi ad ascoltare quello che un bronzo ha da dirmi!

 – Come stai, vecchio mio ? – Chiede entrando Antonio, un amico e collega della porta accanto.

– Cerco di non chiedermelo, e dovresti farlo anche tu – rispondo acido.

– Hai perso tutta la speranza ? Coraggio, non buttarti giù così ! Sai che ci sono nuovissimi studi in corso, ho letto proprio ieri di qualcosa fatto… a NewYork, credo. Prelevano dal sangue il problema e lo reiniettano come un vaccino… Oppure era il vaccino del morbillo che serviva come medicina… Insomma, devi avere fiducia e lottare ! –

– Apprezzo l’interesse e la tua solidarietà, Antonio, ma non mi interessa. Grazie. E comunque si tratta di riprogrammare il sistema immunitario per combattere i tumori del sangue, di mutarlo per permettere che riconosca le cellule in trasformazione come nemiche e possa così reagire in modo selettivo, avevo letto qualcosa, quando ancora credevo di farcela -.

Antonio sconsolato mi abbraccia e con una pacca sulla schiena si arrende alla mia arrendevolezza, e se ne va.

È quasi l’ora di chiudere “bottega”, e sono solo, solo a controllare che la mia chimera non cerchi più di infastidirmi. Fissandola negli occhi, immagino la sua coda agitarsi e sibilare, la sua schiena inarcarsi di potenza, il volto leonino ruggire di fuoco. Devo finir di catalogare alcuni pezzi del negozio, fuori si è fatto buio e credo che saltero’ la cena.

Non ho fame.

Sento la testa pesante dal sonno, non cerco nemmeno di fare troppa resistenza. Getto uno sguardo di controllo sulla chimera, su questo essere che m’incanta con la forza della sua statuaria impotenza.

Forse la sto mettendo davvero troppo sul personale così, nell’atto di scusarmi, vedo la sua ombra sul muro iniziare a tremare. La vedo poi trotterellare schiacciata e pesante nei pressi della mia, che la luce stampa sulla parete e che oramai resta paralizzata da quanto sta succedendo.

La feroce presenza apre le sue fauci roventi e voltandomi per il troppo calore, vedo fuori dalla finestra passare delle imbarcazioni a remi. Ci sono delle persone, forse commercianti, che si radunano e si passano del pesce. Poco più in là alcune donne con ampie collane sistemare dei buccheri neri e dei vasi che ricordano le ceramiche corinzie. Quella ceramica radunata in grande quantità mi incuriosisce, chissà che cosa la attende. Abbandonate in lontananza, anfore vinarie dipinte a figure rossastre.

Sento scambiare parole sconosciute, simili al latino o forse al greco, una fervente serata sta impegnando la gente tanto che nessuno si accorge di me, affacciato alla finestra aperta sulla Bientina Etrusca.

Un odore acre mi obbliga a respirare con la bocca, l’operosità di questo popolo mi lascia sconvolto.

 

Mi alzo dalla sedia, curioso di affrontare il mondo là fuori, ma fatti pochi passi e prima di raggiungere la porta, scivolo e cado.

Sollevo la testa, appena sbattuta contro la scrivania del negozio, e vedo la mia sedia ancora piedistallo del mio corpo che statuariamente si arende alla stanchezza.

Fuori è buio, e quel brulicare antico si fa ormai inanimato e lontano.

E’ ora di chiudere e sulla via di casa passo come sempre vicino alla ex Chiesa di San Girolamo, oggi Museo etrusco ospitante alcuni oggetti rinvenuti in una tomba vicino al padule. Sorrido e sento le guance che si stirano, da tempo non mi accadeva più.

Ho la testa come una spugna imbevuta di rabbia e dolore, che finalmente riesco a percepire e spremere. Non voglio più sentirmi risucchiato dal cesso ogni volta che tiro lo scarico, cercatore di oggetti ma collezionista di paure. Ho il sangue che va a male e mi fa schifo questo mio corpo in maligna trasformazione, anch’esso contro natura come la statua leonina.

Devo riuscire a ruggire di vita fintanto che il mio corpo pulsa, nonostante insidi sé stesso come la coda della chimera s’avventa sulla propria schiena. Devo svincolarmi dalle probabilità di riuscita e credere in questo presente.

Adesso questo mio giorno può anche terminare, ma prima di coricarmi, gusto lo scricchiolare del parquet mentre passeggio per riunire il necessario alla notte. Un libro fedele, l’immancabile bicchier d’acqua, e un fazzoletto al mentolo sopra il cuscino. Piccoli voti al quotidiano che mi accompagna da anni.

Mentre sento gli occhi chiudersi dal sonno, so per certo che non sarà per più di questa notte, non ancora.

Devo sempre contare i pesci venduti al mercato etrusco, devo guardare dentro le fiamme della chimera, fare la siepe che invade il giardino vicino, devo ancora sistemare le idee e dare loro nuovo spazio.

Ho da risollevare in volo un seme col mio soffio, quando il vento è assente. Devo vivere di nuovo.

  

Il nostro antiquario non capì nulla del messaggio che porto: nel ventre di questo mio corpo tricefalo un vecchio archeologo dilettante del tardo XIX secolo rifugiò un segreto antico, da lui scoperto e subito tenuto nascosto.

L’archeologo commissionò la mia realizzazione perché potessi ospitare e conservare il piccolo grande ritrovamento. Neanche la visione di Bientina Etrusca ha portato il mercante dalle ore contate ad intuire quanto gli fosse destinato: riportare alla luce un’antica formula, inseguita nei secoli nel vano tentativo di ricomporla e mai ripetuta con successo…

L’impasto utilizzato per la creazione di un originale bucchero etrusco.

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