I SOGNI MALEDETTI – di Francesco De Victoriis

L'Eco del Monte e del Padule 19 Ottobre 2014 1
I SOGNI MALEDETTI – di Francesco De Victoriis

Dopo la doverosa richiesta di autorizzazione agli organizzatori del concorso “I SOGNI POSSIBILI” e la gentile ed entusiastica concessione ed incoraggiamento personale del Dottor Stefano Mecenate dello staff di PERFORMAT, pubblichiamo sulle pagine de “L’Eco del Monte e del Padule” il racconto classificatosi nella terna dei vincitori del premio letterario summenzionato, nella speranza che esso possa suscitare le medesime emozioni che ne hanno decretato il suo successo nei membri della commissione giudicatrice.  I 20 racconti selezionati per la finale di domenica 12 ottobre sono pubblicati nella antologia “I SOGNI POSSIBILI” edita da SIDEBOOK Edizioni,

 

I SOGNI MALEDETTI

 di Francesco De Victoriis

 Dopo un’intera nottata trascorsa nel vano tentativo di scuotere fuori questo deliro dall mie cervella, ancora non posso staccare le mani dal grembo della mia amata Jeanne, ma trovo un briciolo di forza e lucidità per portarmi allo scrittoio a vergare un ultimo pensiero sulla vita e sulla morte.

E’ strano quanto possa accadere nella mente proprio negli attimi che precedono il momento fatale, quanto possiamo partorire nell’incombenza dell’incontro con qualsiasi cosa possa attenderci dall’altra parte.

Sono stato accusato di inconcludenza e dissolutezza (in quanti mi hanno consigliato di posare la bottiglia e di pensare in grande, ma che fare..? Nelle fredde nottate parigine il vino tiene caldi, mentre il cibo appesantisce…), nonostante ciò, niente mi ha mai impressionato più dell’impotenza umana di fronte all’infinito.

Tra le cose che voglio lasciare alla piccola Jeanne (porta il nome di sua madre, la piccina, e presto avrà un fratellino che si chiamerà Gerald…) c’è il ricordo di una conversazione con un’anziana locandiera che incontrai sui “fossi” un giorno che Mamma mi aveva concesso di andare allo studio del Micheli.


Conoscevo da tempo la vedova Myriam, anche se la nostra famiglia non si era certamente fatta notare in passato per un’assidua frequenza della congrega. La comune appartenenza alla minoranza ebraica però, faceva sì che ci sentissimo parte di un gruppo eccellente tra le lingue e le razze che affollavano la Livorno di fine XIX secolo. In quel momento la vecchia stava accucciata sull’uscio di casa, spiaccicando una grossa blatta con la ciabatta che si era appena tolta. Aggiunse alla benedizione rituale – alav ha-sholom – lo schietto monito nell’amato dialetto: – Toh ! così impari, nata d’un cane… Aveva ragione il mi’ povero marito. Il Signore sbagliò a manda’ le cavallette agli egiziani, gli doveva mandare anche le piattòle come te !

– Era parecchio coraggioso vostro marito, per criticare l’opera d’Iddio, Sòra Myriam – dissi.

La vecchia mi sorrise tra le rughe, mettendo in evidenza un soffio di quella bellezza svanita con l’età, ma che riaffiorò fuggevole al ricordo del marito scomparso.

– Mì ! Amedeo ! Leggi la Bibbia invece di perderti con quegli scarabocchi… e vedrai che gli ebrei non si sono mai fatti pregare nel consigliare Nostro Signore. Se i tuoi genitori ti avessero letto la Genesi, sapresti che lo stesso Abramo parlò con Dio a lungo, fin quando non trovarono un accordo. Il mio povero Astarotte si limitava a cavillare come gli antichi profeti biblici. Niente di più e niente di meno… –

– Va bè… Però vostro marito era comunque un fegataccio – ribattei infastidito dal fatto che una locandiera si permettesse di darmi lezioni di teologia – A quanto mi risulta NESSUNO, dico nessuno – gentili, armeni, mussulmani, o chiunque altro prenda terra a Livorno – si permette di criticare il Signore, vero ? –

– Verissimo Amedeo – ammise la vedova – Però arabi, ebrei e cristiani sono più vicini di quanto tu pensi… BECCATI QUESTA, MALIDETTA TE E ‘R BUDELLO DI TU’ MA’ ! – continuò Myriam con nonchalanche tirando l’ennesima ciabattata ad un’altro scarafaggio imboscato sotto un sasso. – Jahvè, Allah, il Dio dei cristiani… son tutti la stessa entità onnipotente. Sono i preti che hanno incasinato le cose. Con le leggi, le regole, i precetti d’ogni tipo che impediscano ai giovani come te di sognare o sperare in un futuro migliore – assunse una posa solenne – “Io un mi diverto per nulla..? E allora che nessuno si diverta !”.

– A cosa vi riferite, Myriam ? – domandai incuriosito perchè non riuscivo a capire dove l’anziana volesse arrivare – Lo sapete, io a scuola ci sono andato pochino, sempre con la febbre o con la tosse. Conosco il francese, il latino e un po’ di greco grazie a mamma che mi dava lezioni private, ma non mi pare che… –

– Oh Nini..! Cosa vuoi saperne te del mondo ? Dài retta… più cerchi di imparare e più qualche sapientone proverà ad impedirti di sognare – La vedova assunse un’aria pensosa, ed incalzò: – Dedo, vuoi sapere le parole più tristi che abbia mai ascoltato ? –

Era, ovviamente, una domanda retorica che conteneva già la risposta, perchè come tutti gli anziani lanciati in discussione con i giovani, Myriam continuò: – Furono quelle del mio povero marito Astarotte (alav ha-shalom) che le pronunciò in punto di morte, quando quella maledetta tossaccia se lo portò nella tomba dopo una ventina di giorni di letto. Erano tutti in camera nostra: gli anziani della Sinagoga, le donne già listate a lutto, i ragazzini del ghetto pronti a piangere e disperarsi… e naturalmente c’ero anch’io che gli tenevo la mano. Astarotte aveva già recitato lo Shemà Yisrael, e teneva gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto: pensavamo che se ne andasse in pace quando bisbigliò fra se”… – Myriam socchiuse gli occhi ed imitò il marito morente:

Ho sempre sognato di andare laggiù a fare quella cosa…. ma non l’ho mai fatto. –

Con fare da attrice di teatro mantenne lo stesso atteggiamento, aspettando l’applauso di un pubblico inesistente, al che io non potei che ripetere le parole del defunto: – “Ho sempre sognato di andare laggiù per fare quella cosa…”. Ma dove sognava di andare vostro marito ? Ed a fare che cosa ? –

Myriam riaprì gli occhi agitandomi in faccia la ciabatta, e facendomi trasalire mi apostrofò:

– E’ quello che chiese anche il Rabbino Moshe, che subito dopo lo chiese anche a lui: “Andare dove, Astarotte ? A fare che cosa ?”. Ma Astarotte un poteva più rispondere: era morto”.

– Mi dispiace Myriam – dissi con appropriato cordoglio.

– Figurati Dedo… Dispiace anche a me, ma andò proprio così. Astarotte era un uomo retto e una persona proba, ma all’ultimo momento si lamentò di una cosa che non aveva mai fatto, di qualcosa che magari gli era sfuggito proprio da sotto il naso, e che ora non avrebbe più potuto fare… –

– Ma vostro marito, Myriam, era un uomo d’affari ? Viaggiava molto ? –

– Seee… Affatto ! Commerciava in stoffe, e non era mai stato più in là di Pisa, al massimo un paio di giorni al Gabbro, dove comprava la lana da far cardare alle operaie che lavorano vicino alla stazione… Ma chissà cosa cavolo gli frullò per la testa un attimo prima di esalare l’ultimo respiro -.

– Beh, Myriam… non dovreste crucciarvi più di tanto. Sarà stato uno sfizio che Astarotte voleva togliersi con una lavorante svegliotta e procace, forse avrebbe voluto fare una gita in primavera a Castel Sonnino per vedere le “Signore” che prendono il sole senza niente addosso… Magari era qualcosa di indecente o di proibito, e comunque per Astarotte (riposi in pace) adesso non ha più importanza -.

– De’, bellino lui..! Ma gli importò (e parecchio) nel momento supremo. Proprio quando si rese conto che ormai non ci sarebbe stato più niente da fare. Solo allora si lagnò di un’azione che avrebbe potuto compiere e non aveva compiuto. Solo in quell’attimo, nell’ultimo momento di lucidità, Astarotte si rese conto che il mattino seguente non si sarebbe più svegliato. Ci pensi Dedo ? Realizzare di non aver più appelli, fantasticare di rimandare per l’ennesima volta, sognare di attendere un altro giorno ancora e invece… ZACCHETE !!! Tutto finito. Sei ancora giovane Dedo, ed è normale che non ti renda conto dell’ingiustizia che c’è nelle ultime parole di un uomo che muore inappagato o infelice per non aver inseguito i suoi sogni -.

Pensai che un giorno anch’io avrei potuto trovarmi nella irrecuperabile condizione del compianto Astarotte. Ero inchiodato alla città che tanto amavo e che tanto poco ricambiava i miei sentimenti, struggendomi di spaziare tra i più vasti orizzonti (Firenze, Venezia, Parigi, l’avant-garde…) e invece mi limitavo a prender lezioni da un pur valente pittore che ormai mi aveva insegnato tutto ciò che poteva insegnarmi.

– Sòra Myria – protestai quasi più per autodifesa che per sincera convinzione – Sòra Myriam, mi rifiuto di vivere con l’ossessione che non potrò mai essere Re d’Italia – e nemmeno Sindaco di Livorno, se è per questo -, o Papa o Zar di tutte le Russie, ma non lascerò che questi sogni mi rovinino l’esistenza e mi si ripresentino sul letto di morte -.

– Dedo, Dedo… proprio non vuoi capire. Ma ci sei o ci fai ? Astarotte morì lamentandosi di non aver fatto qualosa che stava ampiamente nelle sue possibilità; morì col rimorso di essere stato troppo pigro o poco deciso… disattento, magari svogliato o timoroso. – Implacabile l’anziana donna continuò nella sua concione che era riuscita a turbarmi non poco. – Pensa ai posti che vorresti visitare o alle cose che potresti imparare… e poi pensa a rimpiangere di non aver lottato, e sognato, e perseguito il tuo sogno quando ormai non c’è più niente da fare… Pensaci Dedo -.

La voce arzilla della locandiera mi proiettò, vecchio e canuto, nel mio umido appartamento di Livorno dove allora vivevo con la famiglia, a maledire la mancanza di iniziativa che mi stava tarpando le ali pronte al volo. Un brivido gelido mi percorse la schiena accaldata dai raggi del sole.

– Pensa di arrivare davanti a Dio senza aver assaggiato tutti gli aspetti di questo mondo – continuò Myriam – Pensa a rinunciare da subito alle cose più belle che ti sarebbero potute capitare SOLO E SOLTANTO PER COLPA TUA, Dedo ! Dimmi un po’, ora: credi che possa esistere una pena maggiore nell’aldilà ? Bimbo mio… Pensi che possa esistere un supplizio più grande di questo, compresa l’eterna dannazione della Gehenna ? –

Un nuovo e più profondo brivido mi attraversò di nuovo, ed allora salutai con rinnovato rispetto la vecchia Myriam con la corretta formula ebraica appresa da mio padre Flaminio: – Shalom alecheim, Myriam -.

Mi allontanai appena in tempo per sentire l’anziana locandiera mormorare l’ “Alecheim sholem…” di rito; ma in quel momento la vecchia stava spiaccicando con la pantofola un’altro scarafaggio, e non capii se stesse augurando la pace a me o a lui.

Dedo, più noto con il nome completo di Amedeo Clemente Modigliani, è stato uno dei più grandi scultori e pittori italiani. Dopo i primi studi a Livorno, si spostò a Firenze (1902) e Venezia (1903), per trasferirsi a Parigi nel 1906. In Francia fu ispiratore dei tanti artisti che animarono la ribalta nei primi anni del XIX secolo. La sua breve e geniale esistenza fu segnata dalla dipendenza dall’alcool e dal tragico stile di vita gli fecero guadagnare il vezzeggiativo di Modì (dalla francesizzazione delle iniziali del suo cognome e per l’assonanza col termine maudit, maledetto). Morì il 24 gennaio del 1920 per un attacco di meningite, letale al suo fisico già debilitato dalla tubercolosi ed anni di stravizi. Riposa nel cimitero parigino di Père Lachaise accanto alla compagna Jeanne Hébuterne, suicidatasi un giorno dopo la sua scomparsa quando era in attesa del secondo figlio di Modì.

OCCHI BLU – ritratto di Jeanne Hébuteurne

One Comment »

  1. Carlo Ferranti 19 Ottobre 2014 at 20:20 - Reply

    I sogni che descrivi nel tuo bellissimo racconto sono più romantici e sentimentali e non maledetti. Il racconto oggi, sta assumendo quel valore che in quest’ultimi decenni si era disperso. Una sua rivalutazione dovrebbe spronarti nel proseguire in quella prima interessante raccolta di racconti presentata recentemente nella torre civica. Mi auguro, visto il successo di partecipazione, che si possa andare ad una seconda edizione.

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