PISA, GAME OVER. SI INFRANGE IL SOGNO DEI TIFOSI

L'Eco del Monte e del Padule 31 Agosto 2016 0
PISA, GAME OVER. SI INFRANGE IL SOGNO DEI TIFOSI

La favola è finita.

Ciò che migliaia di sostenitori nerazzurri hanno ardentemente sperato fino all’ultimo, un colpo di coda in una trattativa troppo lunga ed estenuante per poter far sperare in un esito diverso, non è accaduto.

Il calcio – quello professionistico e di livello, intendiamoci… – è morto a Pisa ieri sera.

Si è spento in un mese di trame finanziarie, rilanci e controrilanci economici, trattative bizantine e “businness plain” dagli insondabili dettagli, offerte di acquisizioni di società di capitali… Forse si è spento per una ben precisa volontà di vendetta, una “ripicca” consumata con cieca ottusità e che non dovrebbe stupire più di tanto a fronte agli autori della stessa…

Ma queste sono cose che hanno ben poco a che fare con la malìa di “22 uomini in mutande che corrono su un rettangolo d’erba dietro ad un pallone di cuoio”, non ha che fare con uno spettacolo sportivo che negli ultimi decenni ha elevato Pisa e la sua popolosa provincia ad un prestigio sconosciuto da tempo immemore.

Ci sia perdonato un paragone irriverente, dettato dalla passione e dall’animo di un “tifoso” irriducibile (non per niente la terminologia corrente richiama nel lessico TIFO = TIFOSO una tremenda malattia che nei secoli ha seminato irrefrenabili contagi ed inguaribili morìe…):

Giornali e TV hanno dedicato a Pisa negli ultimi decenni, e proprio a causa di “quei 22 uomini in mutande che corrono dietro ad un pallone”, uno spazio insperabile e certamente irraggiungibile anche dalle pur mirabili opere d’arte presenti in città, mai ottenuti nemmeno dalle valentissime eccellenze culturali – in primis la gloriosa Università – presenti sul territorio.

Nel 1985 o giù di lì (erani gli anni di Romeo, ricordo…) tentavo di spiegare ad una ragazza americana, fugace conoscenza estiva, quale fosse la mia provenienza in un inglese acerbo e maccheronico, forse per questo motivo oltremodo irresistibile: quando dissi che venivo da Pisa, la giovane si rizzò immediata, pietrificandosi di sghimbescio con le mani attillate al corpo e volgendo gli occhi al cielo: solo dopo che suggerì “leaning tower, leaning tower…” capii che stava improvvisando un’imitazione della torre pendente, ma la vera sorpresa giunse allorchè mi chiese con sommo interesse: “Pisa… Romeo ???”. Credetti che la sommaria istruzione letteraria impartita negli States avesse confuso a tal punto la giovane da farle confondere il rinascimento ed il Medioevo, il neoclassicismo con le bellezze architettoniche, la storia d’Italia con le opere di Shakespeare, Pisa con Verona e la Repubblica Pisana con la tragica vicenda di Capuleti e Montecchi, ma non era così: in maniera “abborracciata” in un misto di inglese, italiano e barghigiano antico (“n’ho ditto”, “n’ho fatto”… i nonni della ragazza erano emigrati all’inizio del’900 dalla provincia di Lucca…) mi chiarì il concetto. Parlava di ROMEO ANCONETANI, del “nostro” Romeo, che aveva varcato i confini nazionali con un servizio su “Sports Illustrated” giunto ai sui occhi non ricordo per quale motivo… Fatto sta che in America, a Chicago e per quella particolare persona (appassionata di calcio come il 90% delle ragazze americane che frequentano i colleges), Pisa era due cose: la Torre e Romeo. Una meravigliosa opera dell’ingegno rinascimentale ed un’irripetibile esperienza sportiva e SOCIALE, frutto della genialità di un uomo e della passione di una città.

Oggi il sapere perchè siamo arrivati a tanto ci interessa solo fino ad un certo punto. Quali che siano le motivazioni delle parti in causa, cosa possa aver portato Britaly Post ed Equitativa a trastullarsi con i sentimenti della gente, esse hanno adesso importanza relativa.

Quando subiamo una perdita, quando ci lascia una persona cara, un familiare, un amico di vecchissima data, non è importante saper cosa ce lo ha porato via. La colpa può essere stata di una lenta ed inesorabile malattia, di un accidente improvviso, un fatale sinistro stradale… Il risultato è lo stesso. La persona che amavamo non c’è più. Ed a nulla valgono le recriminazioni, le giustificazioni, le scuse… Per quanto esse possano apparire motivate in un secondo momento.

Oggi il Pisa non c’è più. E tanto basta.

Ad altri, per bagaglio personale e esperienza di vita meno appassionati e coinvolti del sottoscritto e di migliaia di fedelissimi sparsi per tutta la provincia, il compito di salvare il salvabile. Il collega Gabriele Masiero de “La Nazione”, a lungo in diretta telefonica ieri con Aldo ed Andrea Orsini su 50 Canale, ha giustamente suggerito al presidente federale Andrea Abodi un controllo scrupoloso sulle prossime attività del gruppo romano che ha portato alla fine del Pisa. Sottoscriviamo in pieno, ma ci sia consentito, per la sola giornata di oggi 31 agosto, di rimanere in silenzio, chiusi in un attonito dolore che travalica ogni parvenza di razionalità.

Oggi il Pisa non c’è più.

E ci tornano in mente le immagini della festa della promozione in serie A del 1982, quello 0 – 0 contro la Reggiana che ci regalò l’ingresso nel “campionato più bello del mondo”. Allora lo potevamo ben dire che in Italia alloggiava il campionato più bello del mondo…

Una glaciale trasferta a Torino contro la Juventus (3 – 2 per i bianconeri con gol di Berggren e Ugolotti, Caraballo migliore in campo…), la carovana di moto e vespe lungo il foro per andare a Pistoia, l’attesa sotto le logge del treno che riportava i tifosi da Pagani, la doppietta-salvezza di Mario Faccenda contro il Toro, Cremona… Troppi i ricordi, troppe le emozioni che mi assaldìgono mentre me ne sto qui, davanti alla tastiera a pensare a ciò che abbiamo perduto…

Talvolta mi ritrovo a parlare con mio figlio adolescente – le uniche volte che mi ascolta rapito e sembra pendere dalle mie labbra spronandomi a raccontare ancora,m e ancora, e ancora… – e “narrar delle prodezze” di Platini, di Maradona o di Falcao, Rummenigge, Zico… tutti campioni le cui gesta ci sono state regalate da quel sogno che si chiama Pisa.

E quel sogno ci è stato scippato da una cricca di affaristi senza scrupoli che con Pisa e con la sua gente non hanno niente a che fare…

Quando quel maledetto rigore ci condannò alla serie C piansi. Giocavamo contro l’Acireale lo spareggio salvezza. Piansi a dirotto ed in modo insensato ed irrefrenabile. Sommessamente e a lungo. Singhiozzi dei quali mi vergognavo un po’, lo ammetto… La mia fidanzata di allora, in seguito divenuta mia moglie e con la quale vivo tuttora esperienze ineguagliabili, mi guardò stupita, tra l’attonito e l’incredulo. Non disse una parola, rispettò la mia insensata debolezza e mi abbracciò in silenzio. Scoprii in quel momento, una volta di più, quanto la amassi. Non un sentimento dettato dalla passione giovanile – eravamo nel fiore dell’età, avevo sempre i capelli ed una forma invidiabile allora… – ma un amore che scaturiva dal rispetto, come si fa tra persone adulte, pronte a trascorrere insieme una vita di condivisione, fatta di gioie e di dolori, seppur fugaci ed irrazionali come in quel caso.

Fu quella però, una sconfitta sportiva. Dolorosa, straziante e magari inattesa. Anche irreparabile, per le conseguenze che ebbe sul piano societario. Ma pur sempre dettata dai risultati del campo di gioco. Questa no. Non è stata una sconfitta sportiva, ma una sconfitta dello sport.

A Pisa non rotola un pallone da quella entusiasmante sfida spareggio contro il Foggia. Ridateci un campo verde e 22 uomini in mutande che gli corrono dietro.

Ridateci il sogno ed omaggiate i ricordi di chi in quel sogno è vissuto.

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