OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA A PREZZI INCREDIBILMENTE BASSI: I CONTI NON TORNANO, UNA BOTTIGLIA SU CINQUE E’ TRUCCATA…

L'Eco del Monte e del Padule 3 Dicembre 2013 0
OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA A PREZZI INCREDIBILMENTE BASSI: I CONTI NON TORNANO, UNA BOTTIGLIA SU CINQUE E’ TRUCCATA…

MAGARI STATE BEVENDO OLIO DI SEMI, QUANDO NON DI BASSA QUALITA’ O ADDIRITTURA TOSSICO E TRATTATO CHIMICAMENTE PER TOGLIERGLI IL CATTIVO ODORE…

L’olio d’oliva detiene il record di consumo sulle tavole degli italiani ed al contempo il poco invidiabile primato di leader indiscusso delle frodi agroalimentari. Il dato infatti ci è indiscussamente reso noto da numerose ricerche svolte a livello di Unione Europea, e sembrano proprio non mentire.

Dalle nostre parti (dove certamente le procedure sommarie per arrivare ad ottenere “l’oro verde” non sono un mistero per nessuno), dovrebbero essere i prezzi stessi esposti a metterci in guardia: eccettuati i pochi casi in cui l’olio viene venduto sotto costo come “prodotto civetta” (una precisa strategia di mercato dove il venditore conosce perfettamente l’entità della rimessa economica e corre ugualmente il “rischio”…), NON E’ MATERIALMENTE POSSIBILE VENDERE UN LITRO DI OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA AI PREZZI CHE ATTUALMENTE SI TROVANO SUL MERCATO.

3,51 euro al litro sono troppo pochi

Secondo le ultime rilevazioni Ismea, invece, l’extravergine confezionato viene venduto mediamente a 3,51 euro, appena 30 centesimi in più dell’olio d’oliva normale, trattato termicamente e rettificato, e solo 70 centesimi in più dell’olio di sansa ricavato da noccioli, foglie e piccioli delle olive attraverso il ricorso a solventi, e trattato chimicamente per essere reso commestibile.

In tempi di crisi, però, le risorse scarseggiano e spesso la disponibilità di un olio a buon mercato può tornare utile. L’importante è che il prodotto che scegliamo sia venduto per quello che realmente è e che, se offerto a un prezzo molto basso, non sia spacciato per un alimento di qualità. Eè stato accuratamente calcolato dagli incaricati delle varie associazioni di consumatori che un extravergine italiano dovrebbe costare tra i 5 e gli 8 euro al litro.

Olio di semi colorato

Spulciando i numeri del settore, che vale circa 3 miliardi e mezzo di euro all’anno, tra consumi interni ed esportazioni, si scopre che l’olio d’oliva prodotto o importato in Italia non basta a soddisfare i nostri consumi di extra vergine.

Ma allora, ci chiediamo giustamente, che cosa ci finisce in bottiglia? Una delle truffe più utilizzate – spiega il settimanale dei consumatori – consiste nel sostituire l’olio d’oliva con il più economico olio di semi, aggiungendo betacarotene e clorofilla per renderne l’aspetto simile a quello dell’alimento più pregiato.

Mancano all’appello 177.000 tonnellate

Effettivamente secondo il Coi (Consorzio olivicolo italiano) ognuno di noi consuma in media 14 litri di extravergine all’anno. Se moltiplichiamo la cifra per 60 milioni, arriviamo a un consumo complessivo di circa 840.000 tonnellate. Ebbene, se all’olio d’oliva che abbiamo prodotto e importato nel 2012, togliamo la quantità che nello stesso anno abbiamo esportato, scopriamo che l’olio d’oliva che resta non basta per tutti: salta fuori un “buco” di 177.000 tonnellate – un quinto del totale – che potrebbe essere riempito con qualsiasi cosa. Forse proprio con olio di arachidi, mais o girasole.

Lavaggi chimici

Ma non basta. Sulla carta, olio di semi a parte, per soddisfare la domanda interna di extravergine bisogna per forza attingere anche al lampante e al vergine o all’olio d’oliva raffinato, denuncia il Salvagente. E questa “incongruenza” dei numeri, è stranamente coerente con altre sofisticazioni molto diffuse: quella di vendere olio deodorato per extravergine o quella di spacciare lampante rettificato e miscelato con i prodotti migliori per dargli un po’ di sapore. “Molto spesso vengono importati oli grezzi di scarsissima qualità, provenienti da Spagna, Grecia e Tunisia, a prezzi molto bassi, grazie ai metodi di coltivazione iper-intensivi e alla scarsa remunerazione del lavoro”, ci racconta Rolando Manfredini di Coldiretti, “e poi vengono ‘deodorati’, cioè trattati attraverso lavaggi chimici, per migliorarne le caratteristiche organolettiche, eliminare il forte odore di ‘pipì di gatto’, il gusto acre e l’eccessiva acidità causati da una cattiva conservazione delle olive con cui è stato fatto”. 

Dal laboratorio al supermercato

L’ultimo clamoroso episodio di questo tipo è stato scoperto l’anno scorso in Toscana, negli stabilimenti dell’azienda Olearia Valpesana Spa, dove la guardia di finanza di Siena ha scoperto 8.000 litri di falso extravergine, prodotto con oli lampanti non commestibili e vergine, spagnoli, greci e tunisini, che in laboratorio diventavano olio italiano per poi essere venduto a note aziende e finire sugli scaffali della grande distribuzione. Nei mesi scorsi uno degli indagati ha scelto il patteggiamento e proprio in queste settimane i giudici dovrebbero decidere se rinviare a giudizio gli altri 9 indagati, con l’accusa di associazione a delinquere, frode in commercio, sofisticazione alimentare e falsità in registri ufficiali.

 

FONTE: IL SALVAGENTE.IT

 

 

 

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