“GABER SE FOSSE GABER”: ANDREA SCANZI A BUTI CON IL SUO SPETTACOLO SUL SIGNOR G. VENERDI’ 16 GIUGNO ALLE 21:30 TEATRO “DI BARTOLO”

L'Eco del Monte e del Padule 12 Giugno 2013 0
“GABER SE FOSSE GABER”: ANDREA SCANZI A BUTI CON IL SUO SPETTACOLO SUL SIGNOR G. VENERDI’ 16 GIUGNO ALLE 21:30 TEATRO “DI BARTOLO”

Ad una settimana di distanza da BUTIQUE MUSIQUE, l’appuntamento che ha consacrato Buti nell’Olimpo dei paesi che pur contrassegnati da una ridotta demografia eccellono nel campo dell’organizzazione ed ospitalità di ogni tipo d’evento, sale sul palco del Teatro Comunale “Francesco Di Bartolo” (VENERDI’ 14 GIUGNO ORE 21:30) ANDREA SCANZI, volto noto della TV e collaboratore di punta de “Il Fatto Quotidiano”.

 Scanzi è interprete ed auto dello spettacolo “Gaber se fosse Gaber” (più di 80 repliche ed un cartellone che prevede date per tutta l’estate in piazze come Padova, Arezzo, Bolzano o Gressoney, solo per citarne alcune…), un ritratto inedito del grande artista milanese scomparso proprio 10 anni fa (gennaio 2003), troppo spesso bypassato dalla critica a favore di personaggi più “coreografici e lustrinati” ma immensamente meno profondi, nonostante la profonda impronta lasciata nel panorama (non solo musicale) italiano.

Quasi due ore dove a filmati d’epoca e riproposizioni del repertorio del Signor G si alterneranno delle “lezioni” dell’autore laddove non mancheranno stringenti riferimenti all’attualità continuamente aggiornati. Un “incontro-spettacolo” dunque, spesso pungente, talvolta irriverente e nostalgico al tempo stesso dell’immenso personaggio che era Gaber; sicuramente una serata nel corso della quale non ci si annoierà di certo…

ANDREA SCANZI, VOLTO NOTO DEL GIORNALISMO STAMPATO E TELEVISIVO, DURANTE LO SPETTACOLO DA LUI SCRITTO ED INTERPRETATO

 Per meglio spiegare lo spettacolo niente potrebbe essere più calzante delle parole rilasciate da Scanzi stesso in una intervista rilasciata ad Elena Torre:

Quando è nata l’idea di questa operazione teatrale?

Merito della Fondazione Gaber. Tre anni fa presentai un loro incontro a Firenze. Ero l’elemento di raccordo tra Giulio Casale e Andrea Rivera, c’erano più di mille persone. Il pubblico parve molto colpito dalle mie parole. Poi, lo scorso febbraio, Voghera ha chiesto una serata-ricordo di Giorgio: la Fondazione ha chiamato me. Ho scritto un testo teatrale e ha avuto successo. Al punto da divenire, nel suo piccolo, uno spettacolo. Che attraversa l’Italia. Ogni data va meglio della precedente, con momenti di commozione e partecipazione che mi stordiscono”.Com’è strutturato lo spettacolo?
Gaber se fosse Gaber è tutto mio: testo, titolo e struttura – minima – teatrale. E’ una lezione-spettacolo. In 100 minuti cerco di raccontare il percorso di Giorgio, soprattutto (per non dire esclusivamente) quello del Teatro Canzone. La mia narrazione, che segue più o meno un ordine cronologico, si alterna con filmati editi e inediti che ritraggono Gaber, tratti dal repertorio della Fondazione che patrocina lo spettacolo. Sul palco ci sono solo io e ogni sera il testo subisce “timide variazioni e piccoli spostamenti del cuore” (per citare Giorgio). Il 55 percento sono filmati e il 45 percento coincide con i miei monologhi “divulgativi” – non senza riferimenti spigolosi all’attualità. Di solito non ci si annoia: non me lo perdonerei. Adoro essere sgradevole, a volte: era tipico anche di Gaber. Ma la noia no, quella è imperdonabile. Certi intellettuali, e certi tromboni dell’arte pensosa, dovrebbero prima o poi capirlo”.
Perchè continuare a parlare di Gaber-Luporini?
Più che altro, perché non continuare a parlarne. A me pare che lo si ricordi poco e male. Ci si fossilizza sul Gaber televisivo dei Sessanta, per disinnescarlo, o lo si fraintende. Appropriandosene post-mortem, da destra come da sinistra. Ecco perché ho chiamato lo spettacolo Gaber se fosse Gaber: perché vorrei contribuire a riportarlo a casa, a far parlare “soltanto” le sue opere. Basta con queste appropriazioni indebite sciacallesche. Il “vero” Gaber, che non può essere scisso da Sandro Luporini, era quello del Teatro Canzone. Dal 1970 al 2000. Un continuo “buttare lì qualcosa per poi andare via”: un urticare e scorticare sistematicamente le coscienze. Lo vidi la prima volta nel ’91 all’Anfiteatro Fiesole, avevo 17 anni. Mi ha cambiato la vita. L’ho conosciuto e frequentato negli ultimi anni. Istantanee di cui serbo gelosamente ogni frammento”. 
Esistono secondo te ideali testimoni del teatro canzone oggi?
Gaber era unico, inimitabile e non riproducibile. Dava al testo l’ulteriore forza della sua presenza scenica. Il contenuto era contenitore, la forma sostanza. Come dico nello spettacolo, ci sono solo due modi per rifare oggi Gaber: o molto male, e in questo senso Morgan è una garanzia, o bene ma in maniera filologicamente aderentissima. Fin quasi alla “copia” (deliberata). Il caso di Giulio Casale, non per nulla uno dei più bravi espnenti del Teatro Canzone contemporaneo. In tanti ci provano, in pochi ci riescono”.Dove risiede l’attualità di Gaber oggi?
In ogni cosa che ha fatto. Nel coraggio incosciente e brutale, nell’individuare l’imbarbarimento – e l’inaridimento – dell’uomo, nella preveggenza, nell’accorgersi prima di quasi tutti come la sinistra stesse abiurando isuoi afflati libertari già nei Settanta. Nell’elevazione dell’invettiva vibrante a sontuosa cifra stilistica, nell’inseguire il dubbio e mai la certezza. Nel non essere manicheo bensì problematico. Nel non compiacere, casomai ferire (con motivo). Nel raccontare il quotidiano con cinica partecipazione. La grandezza di Gaber e Luporini è così evidente, e sconcertante, da risultare quasi eccessiva. Proprio come Pasolini, a cui entrambi si rifacevano non poco”.
Quanto è importante l’operazione di diffusione del suo pensiero e perchè?
E’ importante perché siamo smarriti, soli, senza memoria storica. Perché Gaber – a differenza di De André – non è stato né santificato né eternato, ma quasi disinnescato da un ricordo distratto e colpevole. Ha vissuto una carriera carbonara e particolarissima, nei teatri e lontano da tivù e studi discografici. Districarsi nella sua produzione è difficile, soprattutto per chi non lo ha mai visto sul palco. Scoprire Gaber è una fortuna che vorrei avere ancora, riscoprirlo è una gioia che non manco di regalarmi – e spero regalare – di continuo”.
Cosa hai imparato nella preparazione di questo spettacolo?
Che nulla è più coinvolgente del contatto diretto con il pubblico. Proprio come ebbe modo di scoprire Gaber alla fine dei Sessanta. Faccio molte cose, dagli articoli alla tivù, dai libri ai convegni, ma l’emozione che dà il teatro non la dà nient’altro. Imparo ogni giorno, innamorandomi sempre più di questo teatro militante e di memoria”.

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